S'aggiunga che la Doretta, piú vanagloriosa di sé che innamorata di Leopardo, godeva di quella guerra che le si accendeva intorno, e nulla certo faceva per sedarla. Gaetano soffiò tanto alle orecchie del suo padrone, e della petulanza del giovine Provedoni, e della sua poca reverenza alle persone d'alto grado e in particolare al signor giurisdicente, che questi finalmente dovette accontentarlo col guardar Leopardo con occhio piú bieco assai che non guardasse la comune della gente. Quella guardatura voleva dire: "Statemi fuor dai piedi!", e la intendevano tanto per dieci miglia all'intorno, che un'occhiata bieca del castellano di Venchieredo equivaleva ad una sentenza di bando almeno per due mesi. Leopardo invece fu guardato, guardò, e proseguí tranquillamente nel suo mestiero. Gaetano non chiedeva di piú; e sapeva benissimo che quella tacita sfida avrebbe contato per cento delitti nell'opinione del prepotente castellano. Infatti costui si stizzí assaissimo di veder Leopardo far cosí basso conto delle sue occhiate; e dopo averlo incontrato due tre e quattro volte nel cortile del castello, una volta lo fermò colla voce per dirgli risentitamente che egli si stava troppo in ozio e che quel tanto passeggiare da Cordovado a Venchieredo potea dargli il mal delle reni. Leopardo s'inchinò, e non comprese o finse di non comprendere; ma seguitò a passeggiare come prima senza paura di ammalarne. Il signore principiò allora, come si dice, ad averlo proprio sulle corna, e vedendo di non cavarne nulla colle mezze misure, un bel dopopranzo lo fece chiamare a sé e gli cantò chiaramente che egli il suo castello non lo teneva per comodo dei signorini di Cordovado e che, se andava in amore, cercasse guarirsene con altre donzelle che con quelle di Venchieredo; se poi volesse arrischiar le spalle a qualche buona untata, capitasse la sera alla solita tresca e sarebbe stato servito a piacere.
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