Il giorno dopo capitò al Conte di Fratta un gran letterone del signore di Venchieredo, nel quale costui senza tanti preamboli pregava il suo illustre collega di dar lo sfratto al Cappellano nel piú breve spazio di tempo possibile, accusandolo di mille birberie, fra le altre di dar mano a frodare le gabelle della Serenissima tenendo il sacco ai contrabbandieri piú arrisicati della laguna. "E quanto un tal delitto sia inviso all'Eccellentissima Signoria (cosí diceva la lettera), e quanto grande il merito di coloro che si affrettano a punirlo, e quanto capitale il pericolo degli sconsigliati che per mire private lo lasciano impunito, Ella, Illustrissimo Signor Giurisdicente, lo deve sapere al pari di chiunque. Gli statuti ed i proclami degli Inquisitori parlano chiaro; e ne può andar di mezzo la testa, perché i denari sono come il sangue dello Stato, ed è reo di Stato colui che colla sua negligenza cospira a dissanguarlo di questo vero fluido vitale ". Come si vede, il castellano avea trovato la vera strada; e infatti il Conte di Fratta, al sentirsi legger dal Cancelliere questa antifona, si dimenò tanto sul seggiolone che ne restò un pochino offesa la sua solita maestà. Si vollero tener secrete le pratiche in proposito; ma la chiamata del Cappellano, la visita ricevuta da costui la mattina antecedente, il suo smarrimento, le sue chiacchiere colla Giustina diedero contezza in paese dell'avvenuto e ne successe un vero tafferuglio. Il Cappellano era amato da tutti come un buon compare; piú anche, la popolazione di Fratta, avvezza al governo patriarcale e venezianesco de' suoi giurisdicenti, avea il ticchio di non volersi lasciar mettere il piede sul collo.
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