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      Infatti si buccinò tantosto che il vecchio bulo del Venchieredo, spaventato dal decreto degli Inquisitori, avea deposto contro il suo antico padrone certe carte di vecchia data che non provavano una specchiata fedeltà al governo della Serenissima; e se sopra queste ipotesi (non erano piucché ipotesi, intendiamoci bene, perché dopo aperto il processo, il Conte, il Cancelliere e mastro Germano, che soli vi avevano parte, erano diventati come sordomuti) se sopra queste ipotesi, dico, se ne fabbricarono dei castelli in aria, lo lascio a voi immaginare. Come si può credere, uno dei primi ad aver sentore di ciò fu il castellano di Venchieredo, e convien dire che non si sentisse la coscienza affatto candida, perché a prima giunta mostrò aver della cosa maggior dispiacere e spavento che non volesse dimostrarne in seguito. Egli pensò, guardò, pesò, ripensò ancora: e finalmente un bel giorno che a Fratta s'erano alzati da tavola, fu annunciata al signor Conte la sua visita. Il Cappellano, che era in cucina, credo che all'annunzio di quel nome stesse lí lí per andare in deliquio; quanto al signor Conte, dopo aver cercato consiglio negli occhi de' suoi commensali che non erano meno stupiti né piú sicuri dei suoi, egli rispose balbettando al cameriere che introducesse pure la visita nella sala di sopra; e che egli col Cancelliere sarebbe salito incontanente. Erano troppe le minaccie, i rischi, e le spiacevolezze di quella visita perché si potesse neppur sperare di ripiegarvi con una consulta preventiva; e d'altronde i due pazienti non erano tanto aquile da sbrigare in due minuti una tale deliberazione.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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