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      Perciò misero rassegnatamente la testa nel sacco; e salirono di conserva ad affrontare la temuta arroganza e la non men temuta furberia del prepotente castellano. La famiglia rimase nel tinello coll'egual batticuore della famiglia di Regolo, quando si trattava nel Senato se si dovesse trattenerlo a Roma o rimandarlo a Cartagine.
      - Servo di Sua Signoria! - disse lestamente il Venchieredo come appena il Conte e la sua ombra ebbero messo piede nella sala. E volse insieme a quest'ombra una certa occhiata che la rese livida e oscura a tre tanti.
      - Servo umilissimo di Vostra Eccellenza! - rispose il Conte senza alzar gli occhi dal pavimento ove pareva cercasse una buona ispirazione per cavarsela. Poi siccome l'ispirazione non veniva, si volse a domandarne conto al Cancelliere, e fu molto inquieto di veder costui indietreggiato fino alla parete. - Signor Cancelliere... - si provò a soggiungere.
      Ma il Venchieredo gli soffocò le parole in bocca.
      - È inutile, - diss'egli - è inutile che il signor Cancelliere si distolga dalle sue solite incombenze per perdersi nelle nostre ciarle. Si sa che egli ha per le mani processi molto importanti e che esigono pronta trattazione e diligentissimo esame. Il bene della Serenissima Signoria prima di tutto, dovesse anche andarne la vita! non è vero, signor Cancelliere? Intanto ella può lasciarci qui a quattr'occhi, ché il nostro colloquio non è null'affatto curiale, e ce ne sbrigheremo tra noi.
      Il Cancelliere ebbe appena appena la forza necessaria per trascinare le gambe fin fuori della sala; e il suo occhietto bieco era in quel momento cosí fuor di strada, che nell'uscire gli lasciò batter il naso contro la merletta.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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