- Cos'hai, cosa c'è, chi ti ha detto d'entrare? - chiese tutto tremante il padrone.
- Il cavallante porta da Portogruaro questa missiva pressantissima della Serenissima Signoria - rispose Fulgenzio.
- Eh via! affari per domattina! - disse il Venchieredo un po' impallidito, e movendo un passo oltre la soglia.
- Scusino le Loro Eccellenze; - rispose Fulgenzio - l'ordine è perentorio. Da leggersi subito!
- Ohimè sí... leggerò subito - soggiunse il Conte inforcando gli occhiali e disuggellando il piego. Ma non appena vi ebbe gettati sopra gli occhi, un brivido tale gli corse per la persona che dovette appoggiarsi alla porta per non perder le gambe. Allo stesso tempo anche il Venchieredo aveva squadrato all'ingrosso quella cartaccia, e ne avea odorato il contenuto.
- Veggo che per oggi non c'intenderemo, signor Conte! - diss'egli con la solita arroganza. - Si raccomandi alla protezione del Consiglio dei Dieci e di sant'Antonio! Io resto col piacere di averla riverita.
Cosí dicendo andò giù per la scala lasciando il giurisdicente di Fratta affatto fuori dei sensi.
- E cosí?... se n'è andato? - disse costui quando rinvenne dal suo smarrimento.
- Sí, Eccellenza! se n'è andato! - ripeté Fulgenzio.
- Guarda, guarda, cosa mi scrivono? - riprese egli porgendo il piego al sagrestano.
Costui lesse con nessuna sorpresa un mandato formale di arrestare il signor di Venchieredo ove se ne porgesse il destro senza pericolo di far baccano.
- Ora è partito, è proprio partito, e non è mia colpa se non posso farne il fermo - rispose il Conte.
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