Anche quella sera toccò al capitano Sandracca e a tre de' suoi assistenti fare il cuor del leone, e uscire alla scoperta. Ma non passarono cinque minuti ch'essi erano già tornati colla coda fra le gambe e con nessuna volontà di ritentar l'esperimento. Quella masnada che tumultuava in piazza era la sbirraglia di Venchieredo e non pareva disposta per nulla alla ritirata. Gaetano dal quartier generale dell'osteria giurava e spergiurava che avrebbe messo a pezzi i contrabbandieri e che quelli che si erano rifugiati in castello l'avrebbero pagata piú cara degli altri. Egli pretendeva che lí in paese fosse una lega stabilita per frodar i diritti del Fisco, e che il Cappellano ed il Conte ne fossero i caporioni. Ma era venuto il momento, diceva egli, di sterminare questa combriccola, e giacché chi doveva tutelare le leggi nel paese se ne mostrava il piú impudente nemico, a loro toccava adempiere i decreti della Serenissima Signoria e farsi grandissimo merito con quell'impresa.
- Germano, Germano, alza il ponte levatoio, e spranga bene il portone! - si mise a strillare il Conte, poiché ebbe udito tutta questa tiritera di insulti e di fandonie.
- Il ponte l'ho già alzato io, Eccellenza! - rispose il Capitano - anzi per maggior sicurezza l'ho fatto gettar nel fossato da tre dei miei uomini perché le carrucole non volevano girare.
- Benissimo, benissimo! chiudete le finestre, e chiudete tutti gli usci a catenaccio - soggiunse il Conte. - Che nessuno osi muover piede fuori del castello!
- Sfido io a moversi ora che è rovinato il ponte!
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