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      Lucilio sudava per la fatica durata a moderarsi; ma la briga maggiore era quella di trarre in salvo la donzella, e in tal pensiero diede giù per una stradicciuola laterale del villaggio, e girando poi verso la strada di Venchieredo, giunse a gran passi, trascinandosela dietro, sulle praterie dei mulini. Là si fermò per farle prender fiato. Ella sedette stanca e lagrimosa sul margine d'una siepe, e il giovine si curvò sopra di lei a contemplare quelle pallide sembianze sulle quali la luna appena sorta pareva specchiarsi con amore. I negri fabbricati del castello sorgevano rimpetto a loro, e qualche lume traspariva dalle fessure dei balconi per nascondersi tosto come una stella in cielo tempestoso. L'oscuro fogliame dei pioppi stormeggiava lievemente; e il baccano del villaggio, ammorzato dalla distanza, non interrompeva per nulla i trilli amorosi e sonori degli usignoli. I bruchi lucenti scintillavano fra l'erbe; le stelle tremolavano in cielo; la luna giovinetta strisciava sulle forme incerte e tenebrose con raggio obliquo e velato. La modesta natura circondava di tenebre e di silenzi il suo talamo estivo, ma l'immenso suo palpito sollevava di tanto in tanto qualche ventata di un'aria odorosa di fecondità. - Era una di quelle ore in cui l'uomo non pensa, ma sente; cioè riceve i pensieri begli e fatti dall'universo che lo assorbe. Lucilio, anima pensosa e spregiatrice per eccellenza, si sentí piccolo suo malgrado in quella calma cosí profonda e solenne. Perfino la gioia dell'amore si diffuse nel suo cuore in un lungo vaneggiamento melanconico e soave.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Venchieredo