Le cose tentennavano in questo modo da circa un mese, quando una sera due cappuccini chiesero ospitalità nel castello di Fratta. Fulgenzio che conosceva tutte le barbe cappuccinesche della provincia non affigurò per nulla quelle due; ma avendo essi dichiarato che venivano dall'Illirio, circostanza provata vera dall'accento, furono accolti cortesemente. Fossero poi venuti dal mondo della luna, nessuno avrebbe arrischiato di respingere due cappuccini colla magra scusa che non si conoscevano. Essi si scusarono colla santa umiltà dall'entrare in tinello, ove c'era in quella sera piena conversazione; ed edificarono invece la servitù con certe loro santocchierie e certi racconti della Dalmazia e di Turchia ch'erano le consuete parabole dei frati di quelle parti. Indi domandarono licenza d'andare a coricarsi; e Martino li guidò e li introdusse nella stanza della frateria che era divisa dal mio covacciolo con un semplice assito e nella quale io li vidi entrare per una fessura di questa. Il castello poco dopo taceva tutto nella quiete del sonno; ma io vegliava alla mia fessura perché i due cappuccini avevano certe cose addosso da stuzzicar propriamente la curiosità. Appena entrati nella stanza si assicurarono essi con due buone spanne di catenaccio; indi li vidi trarre di sotto alla tonaca arnesi, mi parevano, da manovale, ed anche due solidi coltellacci, e due buone paia di pistole, che non son solite a portarsi da frati. Io non fiatava per lo spavento, ma la curiosità di sapere cosa volessero dire quegli apparecchi mi faceva durare alla vedetta.
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