Cosí stava da vera donnetta in conversazione; uscita poi, e sciolta dai rispetti umani, i diritti, dell'età si impadronivano di quel corpicciuolo ben tornito e gli facevano fare le piú gran capriole, i piú bizzarri contorcimenti del mondo. Allora aveva del ragazzaccio piú del bisogno; come invece in sala si atteggiava a donnina languida e leziosa. A questo modo me la ricordo in quegli anni di transizione, ora bambina affatto ed ora donna matura; ma in quanto all'animo, al temperamento, i difetti della bambina si disegnavano cosí esatti nella donna che non mi accorsi certamente del punto in cui questi supplirono a quelli. Gli uni forse non furono che la continuazione degli altri, e il loro sviluppo naturale.
Eccomi ora ad un punto, dal quale ebbe a cominciare un mio nuovo tormento, o meglio ad accrescersi uno già incominciato. Circa a quel tempo uscí di collegio il signor Raimondo di Venchieredo e venne ad abitare nel suo castello vicino a Cordovado; ma siccome non toccava ancora gli anni della maggiore età, cosí un suo zio materno di Venezia, che gli era tutore, lo affidò alla sorveglianza d'un precettore, d'un certo padre Pendola, che, venuto a Venezia non si sapeva donde, erasi acquistato una grandissima opinione di erudito. Questo abate misterioso ebbe certo le sue ottime ragioni per accettare l'incarico: e in confidenza io credo che fosse di soppiatto un beniamino degli Inquisitori di Stato. Lo si diceva romagnuolo di nascita, ma viaggiava con passaporto russo; si sa che i RR. PP. Gesuiti dopo la soppressione dell'ordine loro s'erano ricoverati a Pietroburgo e che la Repubblica di Venezia non s'era mai professata loro protettrice.
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