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      - La mi capisce; - continuò la Contessa - io non accuso già nessuno, ma ripeto quello che diceva la gente. Pareva che il signor Raimondo non dimostrasse inclinazioni molto esemplari... Già ella sa che a questo mondo i giudizi si precipitano; e che sovente le sole apparenze...
      - Pur troppo, pur troppo, cara Contessa; - la interruppe con un sospirone il reverendo - crederebbe ella che né io né lei siamo al sicuro contro questo orco maledetto della calunnia?
      La signora si pizzicò le labbra coi denti, e palpò se i nastrini della cuffia erano al loro posto.
      Avrebbe anche voluto diventar rossa; ma per ottener questo effetto convenne che la si decidesse a tossire.
      - Cosa dice mai, padre reverendo? - continuò ella sommessamente - la mi creda che da centomila bocche una voce sola s'accorda a celebrare la sua santità... Quanto a me poi son troppo piccola e brutta cosa perché...
      - Eh, Contessa, Contessa!... ella vuol burlarsi di me. Una gran dama nei tempi che corrono compera agli occhi del mondo un intero seminario di preti, ed esse sole hanno il privilegio di far parlare o in bene o in male le intere città. Quanto a noi, è troppo se degnano renderci il saluto.
      La Contessa, troppo boriosa per lasciar cadere un complimento senza raccoglierlo, e poco accorta per tagliar di botto tutte queste frasche inutili del discorso, andò via colla lingua dove la menava il reverendo padre, sempre allontanandosi dalla meta che s'era prefissa nel cominciare. Ma il buon padre non era un allocco; prima d'ingarbugliarsi in certi fastidi volea capire qual pro' ne avrebbe cavato, e chi era quella gente con cui doveva accomunarsi.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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