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      Per quel giorno non giudicň opportuno toccar l'argomento, e barcamenň cosí bene che quando si alzarono dal gioco per andarsene, la Contessa narrava, credo, le sue delizie giovanili, e i bei tempi di Venezia, e Dio sa quali altri vecchiumi. Accorgendosi che era venuto il momento di partire, si morsicň un poco le unghie; ma quell'ora le era scappata via cosí premurosa, il buon padre l'aveva trattenuta con sí interessanti discorsi, che proprio il discorso principale le era rimasto a mezza gola. Quanto al sospettare che l'ottimo padre l'avesse condotta, come si dice, in cerca di viole, la Contessa ne era lontana le cento miglia. Piuttosto si stizzí colla propria loquacia, e fece proponimento di esser piú sobria un'altra volta, e di scordar il passato per curare il presente. Ma la seconda volta fu come la prima, e la terza come la seconda; e non era a dirsi che il padre la schivasse o che dimostrasse di conversar con lei a malincuore. No, ché anzi la cercava, la visitava sovente, e non era mai il primo ad accomiatarsi, se il pranzo imbandito o l'ora tarda non lo costringevano a ritirarsi. Soltanto o l'occasione non si presentava mai di intavolar quel discorso, o il caso voleva che la Contessa se ne smemorasse, quando avrebbe potuto accoccarlo meglio a proposito.
      Bensí il padre Pendola non rimaneva ozioso nel frattempo; studiava il paese, la gente, le magistrature, il clero; si addentrava nelle grazie di quel signore o di quella dama; si piegava ai vari gusti delle persone per esser gradito ovunque e da tutti; soprattutto poi cercava ogni via di entrar in favore a Sua Eccellenza Frumier.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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