Il celebre, l'illustre, il dotto, il santo padre Pendola si ritirava in casa Frumier, stanco delle fatiche d'un lungo apostolato. Colà egli disegnava metter in pace la sua età non molto provetta ancora, ma pur afflitta pei sofferti disagi da molti incommodi della vecchiaia. Il vecchio Cappellano era stato trasferito, come desiderava, ad una cura vicino a Pordenone; e il Senatore e la nobildonna non potevano capire in sé per la gioia di possedere in sua vece un tanto luminare d'ecclesiastica perfezione. Raimondo aveva fatto le viste di adirarsi perché egli volesse uscire di sua casa prima che fosse entrata la sposa; ma il buon padre non ebbe bisogno di sfiatarsi per persuaderlo che ad un giovine vicino a fidanzarsi non si affaceva la tutela del precettore, e che per tutte le ragioni conveniva che la sua partenza da Venchieredo precedesse d'alcun poco la celebrazione degli sponsali. Raimondo lo vide partire senza molte lagrime, e continuò a frequentare il castello di Fratta, dove la confidente affabilità della Pisana lo compensava del gelato riserbo della Clara. Ma a costei non avevano ancor fatto cenno della fortuna che l'aspettava; ed egli attribuiva a ciò lo sforzo da lei durato per nascondergli la veemenza dell'amor suo. Del resto non se ne pigliava grande affanno; e se Clara falliva egli avrebbe goduto di ricattarsi colla sorella. Questi erano i filosofici sentimenti del signor di Venchieredo, ma la Contessa non la pensava a quel modo. Dopo aver lasciato i due giovani entrare, secondo lei, in una decente dimestichezza prese ella a preparare la Clara alla domanda del giovine; e parla e riparla s'inquietò alla fine un poco di vederla restar cosí fredda e imperterrita come non si trattasse di lei.
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