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      Erano anni che lavorava colle sue occhiate, co' suoi sorrisi senza che si aprisse per nulla l'animo suo. Raimondo invece veniva, si può dire, coll'anello in mano; e non si trattava che di accennare un sí, perché egli fosse beato e riconoscente di poterlo infilare alla Clara. Queste considerazioni non diminuivano punto il mal sangue della signora verso la figlia; tanto piú che anche le ultime vicende non sembravano aver dato fretta alcuna al glorioso castellano di Lugugnana.
      Un giorno pertanto che i Frumier avevano invitato a pranzo i parenti di Fratta per isvagarli da questi dispiaceri famigliari, l'illustrissimo signor Conte fu oltremodo inquieto di vedersi chiamar dal cognato in uno stanzino appartato. Ognivolta che gli accadeva di doversi dividere dal fido Cancelliere, si sa ch'egli rimaneva come una candela senza stoppino. Tuttavia fece di necessità virtù, e con molti sospiri seguí il cognato ov'egli lo voleva. Questi rinchiuse la porta a doppio giro di chiave, tirò giù le cortinette verdi della finestra, aperse con gran precauzione il cassetto piú segreto dello scrittoio, ne trasse un piego, e glielo porse dicendogli:
      - Leggete; ma per pietà silenzio! mi affido a voi perché so chi siete.
      Il povero Conte ebbe gli occhi coperti da una nuvola, fregò e rifregò colla fodera della veste le lenti degli occhiali piú per guadagnare tempo che per altro, ma alla fine con qualche fatica riuscí a dicifrare lo scritto. Era un anonimo, uomo a quanto sembrava di grande autorità nei consigli della Signoria, che rispondeva confidenzialmente al nobile Senatore intorno alla grazia da implorarsi pel vecchio Venchieredo.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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