Non v'è poi anche ladro cosí astuto che non possa essere derubato da uno piú astuto di lui.
Finito il colloquio fra i due cognati e abbruciata diligentemente la lettera fatale, tornarono in sala da pranzo, discorrendo della Clara e della vera fortuna che la si potesse accasare in casa Partistagno. Il Conte aveva qualche scrupolo perché tutti i parenti di questo giovane non erano sul buon libro della Serenissima; ma il Senatore obiettava che non cadesse in soverchi timori, che erano parenti lontani, e che finalmente il giovine col suo contegno si dimostrava cosí ossequioso ai magistrati della Repubblica che gli avrebbe non che altro fatto onore anche da questo lato.
- C'è poi un altro guaio; - soggiungeva il Conte - che per quanto si creda la Clara innamorata di lui ed egli di lei, non si vede mai che si disponga a manifestarsi.
- Per questo ci penserò io - rispose il Senatore. - Quel giovine mi piace, perché avremmo bisogno di simil gente devota e rispettosa sí, ma forte e coraggiosa. Lasciatemi fare, egli si manifesterà presto.
Per quel giorno si misero da un canto questi discorsi; e solamente la sera nel silenzio del letto nuziale il Conte s'arrischiò di accennare alla moglie d'un grave e misterioso pericolo da cui il rifiuto della Clara al Venchieredo li aveva salvati. La signora voleva saperne di piú, e gracchiava di non volerne credere un'acca; ma non appena il marito ebbe bisbigliato il nome dell'Eccellentissimo Senatore Frumier, la si rifece credula e buona, né s'incaponí di piú a indovinar quello che l'illustre cognato teneva avvolto nell'arcano impenetrabile.
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