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      La querela terminava dinanzi al Foro privilegiato degli scolari; dove i giudici mostravano il facile buonsenso di dar sempre ragione a questi ultimi, per non incorrere nel loro sdegno altrettanto implacabile, quanto poco giusto e moderato. Gli studenti patrizi si tenevano in disparte a tutto potere da questa bordaglia; piú per paura che per boria, credo. E del resto non mancava anche allora il ceto di mezzo, quello dei piú, dei tentennanti, dei misurati, che nell'abbondare della mesata s'accomunava ai costosi piaceri dei nobili, e nella povertà degli ultimi del mese ricorreva alle ladre e petulanti baldorie degli altri. Dicevano male di questi con quelli e di quelli con questi; fra loro poi si beffavano di questi e di quelli, veri antesignani di quel medio ceto senza cervello e senza cuore che si credette poi democratico perché incapace di ubbidire validamente al pari che di comandare utilmente. Intanto i rivolgimenti francesi venivano a smuovere in qualche maniera i vuoti e frivoli talenti di quella scolaresca. Il sangue bolle e vuol bollire ad ogni costo nelle vene giovanili; i giovani son come le mosche che senza capo seguitano a volare, a ronzare. Fra i patrizi s'ebbero i novatori scolastici che applaudirono, e i timidi chietini che si spaventarono; dei plebei qualcuno ruggí alla Marat; ma gli Inquisitori gli insegnarono la creanza; la maggior parte, impecorita nell'adorazione di San Marco, tumultuava contro i Francesi lontani, solita braveria di chi ossequia poi e serve i presenti.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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