Gli zii Frumier erano forse i soli che, lontani o vicini, stettero sempre in mente o sulle labbra alla fanciulla. Quel poter nominare un senatore, un parente del doge Manin, e dire "gli è mio zio", era per lei una discreta soddisfazione, e se la prendeva sovente anche senza una stretta necessità. Giulio Del Ponte e la Veronica le menzionavano sovente suo zio senatore quando la vedevano sconvolta o annuvolata. A quelle magiche parole si rasserenava, si ricomponeva immantinente per dilagarsi in gran chiacchiere sulla potenza e sull'autorità del Senatore, sui suoi palazzi, sulle sue ville, sulle sue gondole, sulle vesti di seta, sulle gemme e sui brillanti della zia. E quante maggiori splendidezze narrava, tanto piú vi scivolava sopra colla lingua senza alcun sussiego quasi a dimostrare che di cotali cose essa aveva troppa consuetudine per esserne maravigliata. Invece, poverina, né gioie, né ville, né palazzi essa aveva veduto mai fuori del palazzo del Frumier a Portogruaro, e della crocetta di brillanti di sua mamma; l'immaginazione suppliva a tutto, e si comportava alla foggia delle attrici che parlano in commedia dei loro cocchi, dei loro tesori, né hanno mai cavalcato un asino o fiutato l'odor d'un zecchino.
Peraltro io mi stupii sempre che col grande magnificar ch'ella faceva l'eccellentissima casa Frumier, rimanesse poi mogia, imbrogliata e quasi uggiosa quando vi compariva in conversazione. Ora capisco che il solo dover cedere alla zia il primo posto le tarpava le ali dell'orgoglio; e piú poi insalvatichita dalla solitudine di Fratta e dal consorzio di rozzi villani o di pettegole sfacciate, non s'arrischiava di mischiarsi ai ragionari degli altri e cosí s'imbronciava di dover sfigurare in punto a brio ed a loquela.
| |
Frumier Manin Del Ponte Veronica Senatore Frumier Portogruaro Frumier Fratta
|