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      A dirvi il vero, trascorsi i primi giorni nei quali la Pisana era tornata la mia fedelona d'una volta, io non ci stava bene per nulla in mezzo a quella gente. Quando era piccino mi accontentava di non intenderli e di ammirarli; allora invece li intendeva benissimo senza capire come potessero godersi di tante scipitaggini. Mi ficcai dunque per disperazione in cancelleria; e là impasticciava protocolli e copiava sentenze raccomodando anche mano a mano molti strafalcioni che sgorgavano dalla fecondissima penna del mio principale. E sí che aveva sempre il capo nelle nuvole! e ad ogni pedata che udissi nel cortile correva alla finestra per vedere se era la Pisana che usciva o che tornava dalle sue gite solitarie. Era tanto inasinito che nemmeno lo scalpiccio di due zoccoli mi lasciava quieto; udiva sempre la Pisana, la vedeva dovunque, e per quanto ella sfuggisse d'incontrarsi con me, e incontratomi mi tenesse il broncio, io non cessava dal desiderarla come il solo bene che m'avessi. La signora Veronica si compiaceva di gabbarmi per questa mia smania, e m'intratteneva sovente del gran chiasso che la Pisana faceva a Portogruaro, e di Giulio Del Ponte che moriva per lei, e di Raimondo Venchieredo che, escluso dal vederla a Fratta o in casa Frumier, l'aspettava sulla strada o nei luoghi ov'ella costumava passeggiare.
      Io mi rodeva di dentro e scappava da quella ciarlona. Rifaceva passo passo le corse di una volta; andava fino al bastione di Attila a contemplarvi il tramonto; là mi saziava di quel sentimento dell'infinito con cui la natura ci accarezza nei luoghi aperti e solinghi; guardava il cielo, la laguna, il mare; riandava le memorie della mia infanzia, pensando quanto era fatto diverso, e quante diversità ancora mi prometteva o mi minacciava il futuro.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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