Qualche volta mi ricoverava a Cordovado in casa Provedoni dove almeno un po' di pace, un po' di giocondità famigliare mi rinfrescava l'anima quando non la guastava la Doretta colle sue scappatelle o co' suoi grilli da gran signora. I piú piccoli dei fratelli Provedoni, Bruto, Grifone, Mastino, erano tre bravi ed operosi garzoni, ubbidienti come pecori, e forti come tori. La Bradamante e l'Aquilina mi piacevano assai per la loro rozza ingenuità, e pel continuo e allegro affaccendarsi delle loro manine a vantaggio della famiglia. L'Aquilina era una fanciulla di forse appena dieci anni; ma attenta grave e previdente come una reggitrice di casa. A vederla sul fosso in fondo all'ortaglia occuparsi a risciacquare il bucato col suo corsetto smanicato e la camicia rimboccata oltre il gomito, la sembrava proprio una vera donnetta; e io ci stava presso di lei le lunghe ore rifacendomi quasi fanciullo per godere d'un po' di quiete almeno colla fantasia. Bruna come una zingarella, di quel bruno dorato che ricorda lo splendore delle arabe, breve e nerboruta di corpo, con due folte e sottili sopracciglia che s'aggruppavano quasi dispettosamente in mezzo alla fronte, con due grandi occhi grigi e profondi, e una selva di capelli crespi e corvini che nascondevano per metà le orecchie ed il collo, l'Aquilina aveva un'impronta di calma e di fierezza quasi virile che contrastavano colla modesta titubanza della sorella maggiore. Costei in onta a' suoi vent'anni pareva piú bambina dell'altra: eppure la era una ragazza di garbo, e il signor Antonio diceva scherzosamente che chi l'avesse voluta sposare avrebbe dovuto pagargliela salata.
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