- Sí, padre - risposi con due sospironi irragionevoli forse ma certo sinceri.
- È il vostro meglio, Carlino. Qui confessatemi che non siete contento del vostro stato, che l'incertezza e l'ozio vi rovinano, e che sciupate i piú begli anni della gioventù!
- È vero, padre; ho cominciato per tempo a gustare il fastidio della vita.
- Bene, bene! tornerete poi a trovarla gradevole le dieci e le venti volte. Tutto sta che vi sacrifichiate nobilmente all'adempimento de' vostri doveri.
Quest'esortazione in bocca del reverendo mi sorprese assai: non mi sarei mai aspettato che le sue massime concordassero con quelle di Martino; e questa concordia mi aperse d'un tratto l'animo alla confidenza.
- Le dirò - soggiunsi - che da poco tempo in qua ho cercato appunto nell'adempimento de' miei doveri un rifugio contro... contro la noia.
- E lo avete trovato?
- Non so; lo scrivere in cancelleria è lavoro troppo materiale; e il signor Cancelliere non è la persona piú adatta a render quel lavoro piacevole. Occupo le mani, è vero, ma la testa vola ove le piace, e pur troppo i dispiaceri e le ore si contano piú col cervello che colle dita.
- Parlate ottimamente, Carlino: ma voi dovete sapere meglio di me che piú di tutto alla guarigione importa una ferma volontà di guarire. Qui, qui, Carlino, voi avete l'anima ammalata; se volete sanarla, andatevene; ma voi direte che la malattia viaggia coll'infermo. No, no, Carlino, non è ragione bastevole! Causa lontana non affligge tanto come causa vicina. Via, non arrossite ora; io non dico nulla, vi consiglio da buon amico, da padre, e nulla piú. Siete senza famiglia, non avete alcuno che vi ami, che vi diriga; io voglio adottarvi per figliuolo, e soccorrervi con quel lume di esperienza che il Signore mi ha concesso.
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