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      Chiesi dunque consiglio ai miei pochi ducati i quali mi permisero quella breve diversione se avessi usato la maggior parsimonia. Feci un fardello delle mie robe, e le imbarcai sul burchio; indi cosí per creanza fui a prender commiato dall'Ormenta.
      - Ah, buon viaggio, carino! - mi diss'egli. - Peccato che non siate rimasto con noi tutto l'anno; siete accorto, e sareste tornato a visitarmi sovente, e forse anco la signora Marchesa vi avrebbe avuto al suo circolo. Riveritemi il padre Pendola, carino; e fidatevi agli attempati un'altra volta. I giovani credono troppo, e vi faranno fare dei cattivi negozi!
      Capisco ora quello che volle dire il caro avvocato, ma egli mi credeva un volpone ghiotto ed avaro simile a lui; allora non ci capii nulla. Dovetti peraltro, dietro suo invito, baciare in viso quel sucido figliuolo, che funzionava al solito nell'andito colla sua vestaccia nera e puzzolente. Questa cerimonia mi rese due volte piú gradita la mia partenza da Padova; e del resto lasciava l'incarico alla fortuna di far comparire degno cancelliere un giovinastro di non ancora vent'anni.
      Giunto a Venezia non perdetti tempo né ad ammirare San Marco né a passeggiar la riva, e deposto il mio fardello in una locanda corsi al palazzo Frumier. Dio mio come trovai cambiata in quei pochi anni la signora Contessa! La era divenuta piú scura, piú cattiva di fisonomia; il naso le si era uncinato come ad uno sparviere, e gli occhi lampeggiavano di un certo fuoco verdognolo che non augurava nulla di buono, e nel vestire mostrava una trascuranza quasi schifosa.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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