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- Vedi anzi che ora son calmo, che sto meglio, che mi par di esser guarito. Hai fatto benissimo a farmi risovvenire di Dio. Questa notte, scommetto che dormirò, e sí che da due mesi non godo una tanta ventura. Ho piacere di doverla a te: guarda se sono ingiusto ora!... Mi perdoni, non è vero, Carlo?
Io gli buttai le braccia al collo; quelle sue ultime parole, benché intinte ancora di qualche amarezza, mi toccarono il cuore piú che le smanie di prima. Sentii il suo cuore battere sul mio precipitosamente, come quello d'un viaggiatore che ha fretta d'arrivare; baciai quel suo volto scarno, e madido tutto d'un sudore gelato; indi lo vidi entrare in casa, lo udii tossire a piú riprese nel montar le scale e mi tolsi di là col malcontento di chi ha fatto una buona azione ma pur troppo inutile.
Il giorno seguente me n'andai a Fratta prima dell'alba, giacché tutta la notte non avea fatto altro che volgere in capo i disegni piú strani e le speranze piú inverosimili. Stetti molte ore in cancelleria a ravviare le faccende d'uffizio, coll'aiuto di quel vecchio sornione di Fulgenzio; riverii poscia il Conte e Monsignore, questo sempre piú morbido e paffuto, quello incartocciato come una vecchia cartapecora abbrustolita sulla bragiera. Ma mi tardava l'ora di sbrigarmi per parlare alla Pisana, e finalmente fui libero e la trovai che la scendeva dalla camera della nonna per andare a pigliar fresco nell'orto. La Faustina e la signora Veronica che le stavano alle coste scantonarono in cucina ghignando fra loro per lasciarla sola con me.
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