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      Perfino Marchetto ci trovava il suo conto della mia amministrazione, perché la sua pancia cominciava a brontolare delle troppo lunghe cavalcate, ed io glielo sparagnava coi spessissimi componimenti. I faccendieri e Fulgenzio mio aiutante brontolavano; perché le liti degli altri erano la loro pasqua, ma io non ci badava al malumore dei tristi, e a quest'ultimo sopratutto rivedeva le bucce assai di sovente perché si ravvedesse della sua vecchia usanza di farsi pagar a doppio le proprie fatiche dal giurisdicente e dalle parti. Giulio Del Ponte m'ebbe ad avvertire di non urtarmi troppo con lui, perché colla sua umiltà e con la sua gobba aveva voce di esser ben sentito da chi poteva molto. Ed io ripensando al processo del vecchio Venchieredo mi capacitai benissimo di questi sospetti; ma il mio dovere soprattutto; ed io avrei lavato il muso ai Serenissimi Inquisitori nonché ad una loro sucida spia se li avessi colti in flagrante di disonorare il mio ufficio. C'era del resto un altro personaggio che senza farne le viste mi mandava di cuore a tutti i diavoli; e questi era il fattore. La mia presenza, la mia nuova autorità avea sgominato certi suoi vecchi sotterfugi di mangerie e di rubamenti. Io ne aveva scoperto la trafila, gliel'avea perdonata, ma non gli avrei perdonato in seguito; ed egli sel sapeva e sopportava la mia sorveglianza con discreto malumore. Il Conte del resto era felicissimo di risparmiar il salario del Cancelliere; e non parlava né di farmi fare gli esami né di mettermi in posto regolarmente.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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