- Sembrerebbe quasi un cognome dei nostri!
- Eh! c'intendiamo! Mascherate, mascherate, tutte mascherate! - soggiunse il Capitano. - Avranno fatto per imbonir noi a buttar avanti quel cognome; oppure quei gran generaloni si vergognano di dover fare una sí trista figura e hanno preso un nome finto, un nome che nessuno conosce perché la mala voce sia per lui. È cosí! è cosí certamente. È una scappatoia della vergogna!... Napoleone Bonaparte!... Ci si sente entro l'artifizio soltanto a pronunciarlo, perché già niente è piú difficile d'immaginar un nome ed un cognome che suonino naturali. Per esempio avessero detto Giorgio Sandracca, ovverosia Giacomo Andreini, o Carlo Altoviti, tutti nomi facili e di forma consueta: non signori, sono incappati in quel Napoleone Bonaparte che fa proprio vedere la frode! Si decise adunque al castello di Fratta che il generale Bonaparte era un essere immaginario, una copertina di qualche vecchio capitano che non voleva disonorarsi in guerre disperate di vittoria, un nome vano immaginato dal Direttorio a lusinga delle orecchie italiane. Ma due mesi dopo quell'essere immaginario, dopo vinte quattro battaglie, e costretto a chieder pace il re di Sardegna, entrava in Milano applaudito festeggiato da quelli che il Botta chiama utopisti italiani. In giugno, stretta Mantova d'assedio, aveva già in sua mano la sorte di tutta Italia; dappertutto era un supplicar di alleanze, un chieder di tregue; Venezia ancor deliberante quando era tempo d'aver già fatto, s'appigliò per l'ultima volta alla neutralità disarmata.
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