Mi venne incontro baldanzosamente chiedendomi:
- Di grazia, qual è il suo nome?
Io lo ringraziai fra me di avermi sollevato dalla pena di interrogar il primo, giacché proprio non avrei saputo a qual chiodo appiccarmi. Cosí, stuzzicato nel mio amor proprio alzai la cresta come un galletto.
- Mi chiamo Carlo Altoviti, gentiluomo di Torcello, cancelliere di Fratta, e da poco in qua avogadore degli uomini di Portogruaro.
- Avogadore, avogadore! - borbottò il Vice-capitano. - È lei che lo dice; ma spero che non vorrà torre sul serio lo scherzo d'una folla ubbriaca: sarebbe troppo rischio per lei.
Quella masnada di sgherri assentí del capo alle parole del principale; io sentii una scalmana venirmi su pel capo, e poco mancò che non dessi fuori in qualche enormezza per dar loro a divedere quanto poco mi calesse di tali minacce. Un alto sentimento della mia dignità mi trattenne dallo scoppiare, e risposi al Vice-capitano che certamente io non era degno del grande onore impartitomi, ma che non intendeva scadere di piú mostrandomi piú dappoco che non fossi infatti. Or dunque vedesse lui quali concessioni fosse disposto a fare perché il popolo mio cliente s'avvantaggiasse della libertà nuovamente acquistata.
- Che concessioni, che libertà? io non ne so nulla! - rispose il Vice-capitano. - Da Venezia non son venuti ordini; e la libertà è tanto antica nella Serenissima Repubblica da non esservi nessun bisogno che il popolo di Portogruaro l'inventi oggi stesso.
- Piano, piano, con questa libertà della Serenissima!
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