Mediante l'opera di costoro gli orzi i frumenti le farine furono insaccate e caricate in brevissimo spazio di tempo; al popolo fu concesso lo spolverio delle farine che usciva dalle finestre, e nullameno esso gridava sempre: - Vivano i Francesi! Abbasso San Marco!... Viva la libertà...
Approntato il convoglio, il capitano che lo dirigeva ed avea raccolto i riferimenti del sergente, mi chiamò solennemente a sé onorandomi ad ogni due parole dei titoli di cittadino e di avogadore. Mi proclamò benemerito della libertà, salvatore della patria, e figliuolo adottivo del popolo francese. Indi i carri presero la via in buona regola verso San Vito, i cavalleggieri scomparvero colla valigia in un nembo di polvere, ed io mi rimasi allibito sorpreso scornato fra un popolo poco contento e meno ancora satollo. Tuttavia gridavano ancora: - Viva i Francesi! Viva la libertà! - solamente si erano dimenticati del loro avogadore, e questo mi procurò il vantaggio di potermela svignare appena cominciò ad imbrunire. Il ronzino non aveva tempo di rintracciarlo e poi non mi bastava il cuore di cimentarmi sovr'esso a qualche nuovo trionfo; capii che miglior prudenza era rimaner a piedi. A piedi dunque, e col rammarico di aver perduto in superbe frascherie tutta quella giornata, ripresi per sentieri e per traghetti il cammino di Fratta. Molte considerazioni politiche e filosofiche sull'instabilità della gloria umana, e del favor popolare, e sulle bizzarre usanze dei paladini della libertà mi distoglievano la mente dalla paura che qualche disgrazia fosse successa nel frattempo al castello.
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