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      Faustina, dico, (anche costei era tornata) mettete su la cocoma dell'acqua!...
      Cosí sentiva i proprii dolori e le pubbliche miserie monsignor Orlando di Fratta. Son io a dirlo che le bestie si mostrarono le piú sensibili fra tutti gli abitanti del castello in quella congiuntura: non eccettuato me medesimo cui un tardo e vano pentimento non varrà certo a purgare dall'odiosa smemorataggine di quella tremenda giornata. Non contando il ronzino di Marchetto che lasciò il tafferuglio per tornarsene a casa come doveva far io, ci fu il cane del Capitano, il vecchio Marocco, che sdegnò di accompagnarsi al padrone nella sua fuga verso Lugugnana. Ed egli rimase vagante pel deserto castello, fiutando qua e là come in cerca d'un'anima migliore della sua; ma non gli venne fatto di trovarla: e un francesino scapestrato si divertí a forarlo parte a parte colla baionetta nel bel mezzo del cortile. Reduce a casa, quella frotta di vigliacchi restò tanto attonita e confusa, che non sentirono neppur il puzzo di quella carogna che appestava l'aria da tre giorni. Toccò accorgermene a me tornato che fui da Udine; e allora diedi ordine a un contadino perché fosse gettata in qualche fogna. Ma il contadino, uscito per questa pia opera, mi chiamò indi a poco acciocché contemplassi anch'io una cosa meravigliosa. Sul cadavere già verminoso di Marocco aveva preso stanza il gattone soriano, suo compagno di tanti anni, e non c'era verso di poternelo snidare. Carezze minacce e strappate non valsero, tantoché me ne impietosii, e presi anche in qualche venerazione quel povero morto che avea saputo destare in un gatto una sí profonda amicizia.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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