Io lo ringraziai a mia volta di cosí benigni sentimenti a mio riguardo; lo pregai di scusarmi dove trovasse difettiva la mia educazione, per la condizione di orfano nella quale era vissuto; non volli aprirgli gli occhi sulla maniera poco onorevole della protezione accordatami dagli zii alla sua venuta; e col mio modesto contegno m'accaparrai, credo, la sua stima fin da quel primo colloquio. Egli mi osservava colla coda dell'occhio, e quanto sembrava poco attento alle parole, tanto notava in me tutti gli altri segni dai quali per lunga esperienza aveva imparato a conoscere gli uomini.
Ebbi dal suo criterio una sentenza piuttosto favorevole. Almeno cosí dovetti inferire dal maggior affetto dimostratomi in seguito. Indi volle ch'io gli narrassi della contessina Clara, come si era fatta monaca; e mi nominò sovente il dottor Lucilio col massimo segno di rispetto, maravigliandosi come la famiglia di Fratta non si tenesse onorata di imparentarsi con essolui. L'ugualità mussulmana temperava in lui l'aristocrazia naturale; almeno lo credetti, e piú mi confermai in questa opinione, quand'egli tirò innanzi beffandosi dell'illustrissimo Partistagno che voleva tener dietro il secolo collo spadone di suo nonno. Io mi stupii di trovar mio padre istruito al pari di me in cotali faccende e che egli ne chiedesse contezza agli altri dove tanta ne aveva lui. Peraltro le cose val meglio saperle da due bocche che da una; ed egli si regolava giusta il sapiente dettato di questo proverbio. Mi parlò poi cosí in via di discorso della Pisana e dei gran corteggiatori che aveva a Venezia, e del suo torto marcio di non appigliarsi al piú ricco per ristorarne la dignità della casa e la fortuna della mamma.
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