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      Ne ebbero tale risposta che, sulla chiusa del loro rapporto, i due inviati non esitarono ad affermare che soltanto dalla divina assistenza bisognava sperare alla loro negoziazione quell'esito che dalle durissime circostanze non era permesso in alcun modo di attendere. Francesco Pesaro ebbe animo retto e chiara antiveggenza; ma gli mancavano la costanza e l'entusiasmo, come mostrò dappoi; per questo né fu capace di salvar la Repubblica né di imprimere alla sua caduta un suggello di grandezza.
      I turbolenti intanto romoreggiavano; i paurosi davano ansa al partito, e fu veduto nel Maggior Consiglio lo strano caso che la filosofia e la paura votassero contro la stabilità e il coraggio. Ma la vera filosofia a quei giorni avrebbe dovuto consigliare di cercar la salute nella propria dignità, non di chiederla in ginocchione alla sapienza politica d'un condottiero. Io per me fui degli illusi, e me ne pento e me ne dolgo; ma operava a fin di bene, e d'altra parte l'amicizia di Amilcare ancora prigione, Lucilio intrinseco affatto dell'ambasciatore francese, e mio padre piú di tutti fiducioso nel prossimo rinnovamento di Venezia, mi spingevano per quella via. O terribile insegnamento! Ripudiare, schernire le virtù antiche senza prima essersi ricinti il cuore colle nuove, e implorare la libertà col lievito della servitù già gonfio nell'animo! Vi sono diritti che sol meritati possono chiamarsi tali; la libertà non si domanda ma si vuole: a chi la domanda vilmente è giusto rispondere cogli sputi: e Bonaparte aveva ragione e Venezia torto.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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