- Piú ci pensava e piú i miei pensieri volavano fra le nuvole. Non ne sarei disceso piú, se non veniva Lucilio a orizzontarmi. Egli m'invitò a seguirlo in un luogo ove si aveva a deliberare sopra cose importantissime al pubblico bene: nella calle ci unimmo ad altre persone sconosciute che lo aspettavano, e tutti insieme prendemmo via verso uno dei sentieri piú deserti della città, dietro il ponte dell'Arsenale. Dopo una camminata lunga sollecita e silenziosa entrammo in un salone buio e spopolato; salimmo la scala al dubbio chiarore d'un lumicino d'olio; nessuno ci aperse, nessuno ci introdusse; somigliavano una coorte di fantasmi che andasse a spaventare i sonni d'un malandrino. Finalmente entrati in una sala umida e ignuda, ci fu concessa una luce meno avara: e al lume di quattro candele poggiate sopra una tavola vidi ad una ad una tutte le persone della radunanza e ne distinsi bene o male le fattezze. Eravamo in trenta all'incirca, la maggior parte giovani: ravvisai fra questi Amilcare e Giulio Del Ponte: il primo acceso in volto e coll'impazienza negli occhi, il secondo pallidissimo e con un fare neghittoso che sconsolava. V'era l'Agostino Frumier, v'era anche il Barzoni, giovane robusto, impetuoso, innamorato di Plutarco e de' suoi eroi: quello che scrisse poi un libello contro i Francesi intitolandolo I Romani in Grecia. Tra i piú attempati conobbi l'avogadore Francesco Battaja, il droghiere Zorzi, il vecchio general Salimbeni, un Giuliani da Desenzano, Vidiman, il piú onesto e liberale patrizio di Venezia, e un certo Dandolo che aveva acquistato gran fama di sussurrone nei crocchi piú tempestosi; gli altri mi erano quasi sconosciuti, benché di taluno non mi comparissero nuove le sembianze.
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