- Viva la libertà! - gridarono tutti.
E fu un tal fremito di gioia e d'entusiasmo che io pure mi sentii scorrere per le vene come una striscia di fuoco. Se in quel momento mi avessero comandato di credere alla risurrezione di Roma coi Camilli e coi Manlii, non ci avrei trovato nulla di strano ad ubbidire. Indi a poco ci separammo, e benché l'ora fosse tardissima il galateo veneziano permise a me ed a Giulio di passare in casa della Contessa. Io era fuori di me addirittura senza saperne il perché: tale deve sentirsi un cavallo generoso al sonar della tromba. Giulio all'incontro pareva malcontento della parte troppo modesta da lui sostenuta nell'adunanza di quella sera; e sí che doveva essere avvezzo a tali combriccole, perché tanto egli che Foscolo erano stati imputati di immischiarsi in tali faccende, e la madre di quest'ultimo dicevasi averlo consigliato a perire piuttosto che svelare alcuno de' suoi compagni. Cosí tornavano allora di moda le madri spartane. Il fatto sta che la Pisana in quella sera non ebbe occhi che per me, ma io era troppo addentro nel pensiero del nuovo governo, del Maggior Consiglio della dimane e dei pronostici di mio padre per fermarmi in quelle amorosità. La guardava sí, ma come un'attenta scoltatrice delle mie declamazioni, e questo mio contegno non le garbava punto. Quanto a Giulio al vederlo cosí uggioso appena lo sopportava, e le sue affaticate galanterie non ottenevano il premio della quarta parte di ciò che gli costavano. Ben è vero che la Contessa ne lo rimunerava con un subisso d'interrogazioni sulle novelle della giornata, ma il letteratuncolo non la intendeva a quel modo, e si arrischiava piú volentieri alla taccia d'ingrato che al martirio della noia.
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