Pagina (617/1253)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      Fra questi io ed Agostino Frumier sedevamo stringendoci per mano. In un canto della sala venti patrizi al piú stavano ravvolti nelle loro toghe rigidi e silenziosi. Alcuni vecchioni venerandi che non comparivano da piú anni al Consiglio e vi venivano quella mattina ad onorare la patria del loro ultimo e impotente suffragio; qualche giovinetto fra loro, qualche uomo onesto che s'inspirava dai magnanimi sentimenti dell'avo del suocero del padre. Mi stupii non poco di vedere in mezzo a questi il senatore Frumier e il suo figlio primogenito Alfonso; giacché li sapeva devoti a San Marco, ma non tanto coraggiosamente, come mi fu veduto allora. Stavano uniti e quasi stretti a crocchio fra loro; guardavano i compagni non colla burbanza dello sprezzo né col livore dell'odio, ma colla fermezza e la mansuetudine del martirio. Benedetta la religione della patria e del giuramento! Là essa risplendeva d'un ultimo raggio senza speranza e tuttavia ripieno di fede e di maestà. Non erano gli aristocratici, non erano i tiranni; né gli inquisitori; erano i nipoti dei Zeno e dei Dandolo che ricordavano per l'ultima volta alle aule regali le glorie e le virtù degli avi. Li guardai allora stupito ed ostile; li ricordo ora meravigliato e commosso; almeno io posso ridere in faccia alle storie bugiarde, e non evocare dall'ultimo Maggior Consiglio di Venezia una maledizione all'umana natura.
      In tutta la sala era un sussurrio, un fremito indistinto; solo in quel canto oscuro e riposto regnavano la mestizia e il silenzio.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Agostino Frumier Consiglio Frumier Alfonso San Marco Zeno Dandolo Maggior Consiglio Venezia