- Io stesso ne ebbi pietà; io che nell'avvilimento e nella paura d'un doge non vedeva altro allora che il trionfo della libertà e dell'eguaglianza.
Tutto ad un tratto rimbombano alcune scariche di moschetteria: il Doge si ferma costernato e vuol discendere i gradini del trono; una folla di patrizi spaventata se gli accalca intorno gridando: - Alla parte, ai voti! - Il popolo urla di fuori; di dentro crescono la confusione e lo sgomento. Sono gli Schiavoni ribelli! (gli ultimi partivano allora e salutavano con quegli spari l'ingrata Venezia). Sono i sedici mila congiurati (i sogni di Lucilio). È il popolo che vuole sbramarsi nel sangue dei nobili! (il popolo nonché preferire l'obbedienza a que' nobili, alla piú dura servitù che lo minacciava, amava anzi quell'obbedienza e non voleva dimenticarla). Insomma fra le grida, gli urti, la fretta, la paura, si venne al suffragio. Cinquecento dodici voti approvarono la parte non ancor letta, che conteneva l'abdicazione della nobiltà, e lo stabilimento d'un Governo Provvisorio Democratico, sempreché s'incontrassero con esso i desiderii del general Bonaparte. Del non aspettarsi da Milano i supremi voleri del medesimo e il trattato che si stava stipulando, davasi per motivo l'urgenza dell'interno pericolo. Venti soli voti si opposero a questo vile precipizio; cinque ne furono di non sinceri. Lo spettacolo di quella deliberazione mi rimarrà sempre vivo nella memoria: molte fisonomie, che vidi allora in quella torma di pecori avvilita tremante vergognosa, le veggo anche ora dopo sessant'anni con profondo avvilimento.
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