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      Sospirava, lavorava, e aspettava di meglio. Intanto gioverà notare il peccato per cui cadde Venezia inonorata e incompianta dopo quattordici secoli di vita meritoria e gloriosa. Nessuno, credo io, avvisò fino ad ora o formulò a dovere la causa della sua rovina. Venezia non era piú che una città e voleva essere un popolo. I popoli soli nella storia moderna vivono, combattono, e se cadono, cadono forti e onorati, perché certi di risorgere.
     
     
      CAPITOLO DECIMOSECONDO
     
      Nel quale, dopo un patetico addio alla spensierata giovinezza, si comincia a vivere ed a pensare sul serio: ma pur troppo non ebbi il vento in poppa. Fin d'allora era pericoloso fidarsi alle promesse degli ospiti che volevano farla da padroni: ma gli ospiti, se non altro furono benemeriti di averci dato la sveglia. Nel frattempo la Clara si fa monaca, la Pisana si marita con S.E. Navagero, ed io seguito a scriver protocolli. Venezia cade la seconda volta in punizione della prima, e i patrioti si ricoverano sbuffando nella Cisalpina. Io resto, a quanto sembra, per far compagnia a mio padre.
     
      Addio, fresca e spensierata giovinezza, eterna beatitudine dei vecchi numi d'Olimpo, e dono celeste ma caduco a noi mortali! Addio rugiadose aurore, sfavillanti di sorrisi e di promesse, annuvolate soltanto dai bei colori delle illusioni! Addio tramonti sereni, contemplati oziosamente dal margine ombroso del ruscello, o dal balcone fiorito dell'amante! Addio vergine luna, ispiratrice della vaga melanconia e dei poetici amori, tu che semplice scherzi col capo ricciutello dei bambini, e vezzeggi innamorata le pensose pupille dei giovani!


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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