Il tempo non è tempo ma eternità, per chi si sente immortale.
E cosí ho scritto un degno epitaffio su quegli anni deliziosi da me vissuti nel mondo vecchio; nel mondo della cipria, dei buli e delle giurisdizioni feudali. Ne uscii segretario d'un governo democratico che non aveva nulla da governare; coi capelli cimati alla Bruto, il cappello rotondo colle ali rialzate ai lati, gli spallacci del giubbone rigonfi come due mortadelle di Bologna, i calzoni lunghi, e stivali e tacchi cosí prepotenti che mi si udiva venire dall'un capo all'altro delle Procuratie. - Figuratevi che salto dagli scarpini morbidetti e scivolanti dei vecchi nobiluomini! Fu la piú gran rivoluzione che accadesse per allora a Venezia. Del resto l'acqua andava per la china secondo il solito, salvoché i signori francesi si scervellavano ogni giorno per trovar una nuova arte da piluccarci meglio. Erano begli ingegni e ce la trovavano a meraviglia. I quadri, le medaglie, i codici, le statue, i quattro cavalli di san Marco viaggiavano verso Parigi: consoliamoci che la scienza non avesse ancor inventato il modo di smuovere gli edifici e trasportar le torri e le cupole: Venezia ne sarebbe rimasta qual fu al tempo del primo successore di Attila. Bergamo e Crema s'erano già occupate definitivamente per riquadrare la Cisalpina; dalle altre provincie si vollero radunar a Bassano deputati che giudicassero sul partito da prendersi. Berthier, destreggiatore, presiedeva per attraversare ogni utile deliberazione; io scriveva a Bassano i desiderii dei Municipali, e ne riceveva le risposte.
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