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      Il dottor Lucilio, che senza parerlo seguitava ad esser l'anima del nuovo governo, non voleva che si abbandonasse quell'ultima àncora di salute, e destreggiava e si ostinava anche lui. Sembrava che si fosse prossimi ad un accordo di comune gradimento quando il furbo Berthier dichiarò a precipizio che l'accordo era impossibile, e buona notte! Venezia restò colle sue ostriche, e le provincie coi loro presidenti, coi loro generali francesi. Victor a Padova gracchiava impudentemente che non si badasse ai Veneziani, razza putrida e incorreggibile d'aristocratici. Bernadotte, piú sincero, proibiva che da Udine si mandassero deputati alla commediola di Bassano. I tempi erano cosí tristi che la crudeltà era poco men che pietosa, e certo piú meritoria dell'ipocrisia. Nondimeno io tirava innanzi colla benda agli occhi e colla penna in mano, credendo di correre incontro ai tempi di Camillo o di Cincinnato. Mio padre squassava il capo; io non gli badava per nulla, e credeva forse che la volontà o la presunzione d'alcune teste calde avrebbe bastato a slattare quella libertà bambina e già peggio che decrepita. Una sera io vado in cerca della Contessa di Fratta alla solita casa, e mi dicono che essa ha sloggiato e che l'è ita a stare sulle Zattere all'altro capo della città. Trotto fino colà, mi arrampico per una scala di legno malconcia e tarlata e guadagno finalmente un appartamento umido oscuro e quasi sprovvisto di suppellettili. Non poteva tornare in me dalla maraviglia. Nell'anticamera mi viene incontro la Pisana col lume; lo stupore cresce, e la seguo quasi trasognato fino alla camera di ricevimento.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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