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      Dopo tanti anni di lento lavorio ammirava allora nella costanza della Clara l'opera propria, e non avrebbe dato quei momenti per l'abbazia piú cospicua dell'Ordine. Quanto a Lucilio, dopo tanti anni di fatica, di perseveranza e di sicurezza, dopo aver superato ogni impedimento, e atterrato ogni ostacolo, vedersi respinto senza remissione dallo scrupolo divoto d'una donzella, e non poter conquidere un'anima dov'egli sapeva di regnar ancora, era per lui un delirio che vinceva la stessa immaginazione!... Con ogni sforzo di mente e di cuore era giunto là dove era impossibile l'avanzare e il retrocedere: era giunto a diffidare di sé, dopo una sí lunga sequela di continui trionfi. La fiducia avuta per l'addietro aggiungeva alla sconfitta una vera disperazione. Tuttavia non credo ch'egli si desse per vinto: giacché egli era di quella tempra che cede solamente alla frattura della morte. Ma l'amore diventò in lui rabbia, odio, furore: e in quelle ultime parole rivolte amaramente alla Clara la sola superbia lottava forse ancora. L'amore s'era sprofondato dentro l'anima sua ad attizzarvi un incendio di tutte quelle passioni che prima servivano a lui ubbidienti e quasi ragionevoli. La donzella nulla rispose agli insulti ch'egli le scagliava; ma quel silenzio esprimeva piú cose d'un lungo discorso, e Lucilio tornò a saltargli contro con un impeto di rimbrotti e d'imprecazioni, come il toro furibondo, che impedito di uscir dall'arena, si spacca il cranio contro lo steccato. Infuriò a sua posta con grande scandalo della madre Redenta, e molta compassione della Clara: indi la volontà riebbe il freno di quelle furie scomposte, e fu tanto forte e orgogliosa da persuaderlo ad andarsene, lasciando per ultimo saluto alla donzella uno sguardo di pietà insieme e di sfida.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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