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      Vi fu un momento ch'egli fece per alzarsi e mi sembrò quasi di vederlo sospeso da terra in un atteggiamento mirabile d'ispirazione e di profezia. Egli pronunciò fieramente il nome di Venezia; indi ricadde come stanco per tornare alle sue fantasie.
      Quando fu presso al gran punto lo vidi aprire le labbra a un sorriso, quale da un pezzo non brillava piú su quel volto robusto e maestoso; si mise la mano in seno e ne trasse uno scapolare su cui affisse a piú riprese le labbra. Ogni bacio era piú lento e meno vibrato; se ne staccò sorridente per esalar l'anima a Dio, e il suo ultimo respiro gli uscí cosí pieno cosí sonoro dal petto, che parve significare: "Eccomi finalmente libero e felice!" - Quella reliquia cui aveva consacrato l'estremo alito di vita, cadde nella mia mano all'allentarsi della sua: io la ricevetti come un pegno, come una sacra eredità, e m'inginocchiai dinanzi a quel morto come al cospetto di Dio. Mai non mi venne veduta poi morte simile a quella; il parroco asperse d'acqua benedetta il cadavere e si partí asciugandosi gli occhi, e assicurandomi che gli verrebbe data sepoltura sacra per quanto forse i canoni lo vietassero. Ma la santità di quel passaggio comandava che non si badasse cosí strettamente alle regole. Allora rimasto solo io diedi uno sfogo al mio dolore: baciai e ribaciai quel santo volto di martire, lo cospersi di pianto, lo contemplai a lungo quasi innamorato della pace sovrumana che spirava. Appresi maggior virtù da un'ora di colloquio con un morto, che da tutta la mia convivenza coi vivi.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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