La lucerna era agli ultimi crepiti; il primo luccichio del giorno traspariva dalle persiane, quando mi venne a mente che si stava a me di dar annunzio alla Doretta della morte del marito. Questo pensiero mi fece rabbrividire. Tuttavia mi accingeva a bussare alla porta quando udii avvicinarsi dietro ad essa un fruscio di passi; l'uscio s'aperse pian piano e mi comparve dinanzi la figura un po' pallida e sospettosa di Raimondo Venchieredo. Diedi un tal grido che destò tutti gli echi della casa e mi slanciai ad abbracciare Leopardo come per proteggerlo o consolarlo di quel postumo insulto. Raimondo alle prime non ci capí nulla, balbettò non so quali parole di gondola e di Fusina, e si affrettava ad andarsene. Seppi in seguito che egli aveva mandato Leopardo a Fusina coll'ordine di fermarvisi tutto il giorno appresso ad aspettar suo padre che doveva arrivare colà e di consegnargli un piego rilevantissimo. Leopardo era partito infatti sull'Avemaria, ma accortosi a mezzo il viaggio d'aver dimenticato la lettera, era tornato per prenderla verso le tre ore di notte. Allora avea veduto Raimondo entrar furtivo in sua casa e nella stanza della Doretta; il resto ognuno se lo può immaginare. È vero peraltro che il sublimato egli lo avea provveduto presso uno speziale fin dalla mattina, dopo aver assistito all'adunanza dei Municipali nella quale il Villetard avea pronunciato sentenza di morte contro Venezia. Sembra che l'ultimo vitupero dell'onor suo non abbia fatto altro che precipitare una deliberazione già maturata e presa per molti motivi.
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