Pagina (688/1253)

   

pagina


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

      La lettera diretta al Venchieredo e di pugno del padre Pendola fu trovata nel cassetto della tavola dinanzi a lui.
      Tuttociò io non sapeva allora, ma indovinai qualche cosa di simile. Laonde non soffersi che Raimondo si salvasse a quel modo senza conoscer almeno l'orrenda tragedia di cui egli era la causa. Gli corsi dietro fin sulla soglia, lo abbrancai per le spalle, e lo trassi genuflesso e tremante dinanzi il cadavere di Leopardo.
      - Guarda - gli dissi - traditore! Guarda!...
      Egli guardò spaventato e s'accorse solamente allora della lividezza mortale che copriva quelle spoglie inanimate. Accorgersene, e metter un grido piú acuto piú straziante del mio, e cader riverso come colpito dal fulmine fu tutto ad un punto. Quel secondo grido chiamò nella stanza la portinaia, la Doretta e quanta gente abitava la casa. Raimondo s'era riavuto ma si reggeva in piedi a stento, la Doretta si strappava i capelli, e non so ben dire se strillasse o piangesse; gli altri guardavano spaventati quel lugubre spettacolo, e si chiedevano l'un l'altro sotto voce com'era stato. Mentire toccò a me, e non mi fu grave, perché pensava cosí di adempiere scrupolosamente i desiderii dell'amico. Ma non potei far a meno che nell'ascrivere quella morte ad un colpo fulminante la mia voce non parlasse altrimenti. Raimondo e la Doretta mi intesero, e sopportarono dinanzi al mio sguardo inesorabile la vergogna dei rei. Io partii da quella casa, ove divisava di tornare il giorno appresso per accompagnare l'amico alla sua ultima dimora; qual fosse l'animo, quali i miei pensieri non voglio confessarlo ora.


Pagina_Precedente  Pagina_Successiva  Indice  Copertina 

   

Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Venchieredo Pendola Raimondo Leopardo Doretta Doretta Doretta