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      Intravvidi una grand'anima sotto quelle sembianze, e secondo la mia usanza l'amai addirittura. Egli mi snocciolò trecento cinquanta ducati nuovi fiammanti, mi chiese scusa sorridendo delle burbere accoglienze di suo padre, e soggiunse che non me ne spaventassi perché egli gli aveva parlato di me quella stessa mattina con tutto il favore, e che sarei il benvenuto nella loro casa, ove avrei ritrovato la confidenza e la pace della famiglia. Io lo ringraziai di sí benevoli sentimenti soggiungendo che questo sarebbe stato il mio piú soave piacere, ove un qualche caso straordinario mi avesse fermato a Venezia. Cosí ci separammo, a quanto parve, amici in fin d'allora con tutta l'anima.
      Pranzai quel giorno, v'immaginerete con quanta voglia, in una bettolaccia, ove facchini e gondolieri litigavano sullo sgombero dei Francesi e l'entrata dei Tedeschi. Ebbi campo di compiangere profondamente la sorte d'un popolo che da quattordici secoli di libertà non avea tratto né un lume di criterio né la coscienza del proprio essere. Ciò avveniva forse perché quella non era libertà vera; e avvezzi all'oligarchia non vedevano motivo da schifare l'arbitrio soldatesco e l'impero di fuori. Per loro era tutto uno; tutto servire; discutevano sull'umor del padrone e sul salario, e null'altro. Qualche voce meno interessata stonava troppo in quel concerto, e avevano perfin paura di ascoltarla, tanto li aveva usati bene l'Inquisizione di Stato. Quand'io penso alla Venezia d'allora, mi maraviglio che una sola generazione abbia potuto mutarla di tanto, e benedico o le insperate consolazioni della Provvidenza, o i misteriosi e subitanei ripieghi dell'umana natura.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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