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      Passato per casa mia me ne cacciò tosto la mestizia e la paura della solitudine; mi ricordo che piansi a dirotto trovando sul tappeto la pipa di mio padre ancor piena di cenere. Pensai che tutto finiva cosí; e mi entrò in cuore un involontario sospetto che quello fosse un pronostico. In tali disposizioni d'animo il povero Leopardo mi attirava a sé con forza irresistibile; infatti il resto della giornata lo passai vicino al letto dove i pietosi vicini lo avevano adagiato. La portinaia mi disse che la vedova di quel signore se n'era ita colle sue robe lasciando otto ducati per le spese del funerale; e l'avea detto prima di partire, che non le reggeva il cuore di restar un'ora di piú sotto lo stesso tetto colle spoglie inanimate di colui che tanto ell'aveva amato.
      - Peraltro - soggiunse la portinaia - la signora parve arrabbiatissima perché non venne a levarla quel bel cavaliere che era qui questa mattina, e si stizzí anche non poco colla mia ragazzina, perché lasciò cadere per terra una sua cuffia. Dica lei, se questi sono segni di gran dolore!
      Io non risposi verbo, pregai la donna che non si incommodasse per cagion mia, e siccome la persisteva nelle sue chiacchiere, nelle sue induzioni, mi voltai senza cerimonie dalla banda del morto. Allora essa mi lasciò solo, ed io potei sprofondarmi a mio grado nell'oscuro abisso delle mie meditazioni. Dice bene il mementòmo del primo giorno di quaresima; tutti si torna cenere. Piccoli e grandi, buoni e cattivi, ignoranti e sapienti, tutti ci somigliamo, cosí nella fine come nel principio.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





Leopardo