Mio padre girava intanto per gli harem e pei chioschi dei ricchi mussulmani commerciando di spilloni, di specchietti e d'altri ninnoli ch'ei sapeva vendere a prezzi incredibili; cosí almeno affermava mia madre ridotta allo stremo di tutto. Un bel giorno sembrava che le gelosie ricominciassero piú violente che mai a proposito della sua gravidanza. L'accusato era un brioso fellah delle vicinanze; mia madre scriveva roba di fuoco intorno a questa ingiustizia del marito; sembra ch'ella sospettasse in lui un sistema premeditato per annoiarla di quella vita, per finirla affatto o per isforzarla a fuggire. Allora la sua superbia cominciò a raddrizzarsi: da quei lamenti da quelle disperazioni tornava a trapelare la nobildonna offesa nell'onore; l'animo suo s'esasperava sempre piú in quelle noterelle buttate giù sulla carta giorno per giorno con mano rabbiosa; finalmente si giungeva ad una pagina vuota dove null'altro era scritto senonché queste parole: "Ho deciso!"
Cosí terminavano quelle memorie; ma le completava una lettera scritta da essa medesima a mio padre, dappoiché la ebbe deciso. Non posso far a meno di riportar quelle poche righe le quali serviranno a profilar meglio l'indole di mia madre. Ahimè! perché non posso io parlarne piú a lungo?... Perché l'amore di figlio non ebbe egli nella mia vita che un barlume lontano di confuse memorie, ove posarsi? Tale è la sorte degli orfani. Ad ottant'anni dura ancora il rammarico di non poter contemplare nel memore pensiero l'immagine della madre.
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