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      Sentiva di darmi la zappa sui piedi, e di fare come quei corbelli che dopo aver celato un delitto per vent'anni, corrono a confessarlo al giudice per farsi appiccare. Mi maraviglio e mi maraviglierò sempre che la mia morale levantina abbiami consentito questo dannoso pentimento. Gli è vero che coi Turchi e cogli Armeni io era avvezzo a trattare come colle bestie; e a mercanteggiarli ed assassinarli senza scrupolo; ma non aveva mai messo le unghie in carne cristiana, e tua madre, vivaddio! checché ne dica sua sorella contessa, era cristiana piú di alcuno fra noi.
      Fors'anco l'interesse mi conduceva a ravvedermi di quegli ingiusti sospetti. La risurrezione di casa Altoviti s'era assorellata poco a poco nella mia mente alla risurrezione di Venezia; e sperai, come si dice, di prendere due colombi ad una fava. Io m'era adoperato assai a Costantinopoli per volgere i Turchi a romperla colla Sacra Alleanza e divertirne le forze dalla Germania e dall'Italia. Riuscito se non altro a tenerli in bilico, aveva qualche merito presso i Francesi, creduti allora cosí alla lontana i rinnovatori del mondo. Col favor dei Francesi, coll'aiuto dei cospiratori interni che facevano capo a me nelle loro mene d'Oriente, colla mia perspicacia, coi miei milioni sperava di adoperare in modo che un giorno o l'altro sarebbero state in mia balía le sorti della Repubblica. Ti spaventi? Eppure ci mancò poco; mancò solamente la Repubblica. Soltanto che io scopersi di essere un po' vecchio: e qui potrei farmi un merito!


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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