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      Per giunta debbo io confessarlo?... Quel temperamento duro e selvaggio ma tenace ed intero di mio padre esercitava sul mio una certa violenza: i piccoli sono sempre disposti ad ammirare i grandi; quando poi li spinga il dovere, l'ammirazione loro trascende ogni misura. Pensai, pensai; e resi spontaneamente tutto il mio cuore a quel solo che me lo chiedeva col sacro diritto del sangue. Quali fossero quei nuovi disegni che lo richiamavano in Levante, non mi venne fatto neppure d'immaginarmeli. In complesso mi fidava di lui aspettandomi di vedere quandocchesia qualche cosa di grande; e benché egli rimanesse ingannato come noi dalle stesse illusioni, lo reputava tanto superiore per larghezza di vedute, e tenacia e forza di volontà che non avrei saputo figurarmelo illuso e sconfitto per la seconda volta. Allora era giovine; neppure il dolore mi rintuzzava la speranza, e questa si facea strada dovunque in mezzo agli sconforti ai timori alle angosce dell'animo.
      Cosí tornato alquanto in me da quell'utile esercizio interiore, desinai d'un pezzo di pane trovato sopra un armadio; e uscii a notte fatta per cercare di Agostino Frumier se era ancora a Venezia e concertarmi con lui sulla nostra partenza. La verità si era che una cura piú profonda e vergognosa di parlare in nome proprio metteva innanzi cotale pretesto di dilazione: tanto è vero che avviato a casa Frumier mi sviai senza avvedermene fino al Campo di Santa Maria Zobenigo dove sorgeva il palazzo Navagero. E là giunto me ne pentii, ma non potei fare che non mi fermassi a spiare tutte le finestre, e che non scendessi anche sul traghetto per guardare il palazzo dalla parte del Canal Grande.


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Le confessioni d'un Italiano
di Ippolito Nievo
Einaudi
1964 pagine 1253

   





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