Questi due ultimi balzarono in piedi alla mia venuta, e la vecchia mi guardò dignitosamente di sopra agli occhiali. Indi il giovane mi presentò secondo il convenevole alla signora madre e a sua sorella Aglaura, ed io entrai quarto nel colloquio. Una conversazione di Greci non ci starebbe senza quattro dita di pipa; a me ne offersero una che andava fuori della stanza, e siccome dopo il mio accasamento a Venezia ci avea studiato sopra anche a quest'arte importantissima del vivere moderno, cosí me la cavai senza sfigurare. Aveva però tutt'altra voglia che di fumo, e la distrazione mi mandò a traverso dei polmoni parecchie boccate.
- Che vi pare di Venezia? cosa avete fatto di bello quest'oggi? - mi domandò Spiro per intavolar il discorso in qualche maniera.
- Venezia mi pare un sepolcro dove ci frugano i becchini per ispogliare un cadavere - gli risposi io.
E per dirgli quello che avea fatto, gli narrai d'un mio amico che era morto, e degli ultimi dolorosi uffici ch'io avea dovuto prestargli.
- Ne ho udito parlare in Piazza - soggiunse Spiro - e lo dicevano avvelenato per disperazione patriottica.
- Certo aveva animo da disperarsi cosí altamente - ripresi io senza assentire direttamente.
- Ma credete voi che siano atti di vero coraggio questi? - mi richiese egli.
- Non so - soggiunsi io. - Quelli che non si ammazzano dicono che non è coraggio; ma torna loro conto il dirlo; e d'altronde non hanno mai provato. Io per me credo che tanto a vivere fortemente, come a morire per propria volontà faccia d'uopo una bella armatura di coraggio.
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