La scoperta fatta da Raimondo Venchieredo mise la sbirraglia sulle mie tracce. Egli ne parlò a suo padre come d'una curiosità; il vecchio volpone ne tenne conto come d'un grasso guadagno, e cosí, dopo consultatosi col reverendo padre Pendola, decise di farsi un merito presso il Governo col dipingermi per un pericoloso macchinatore appiattato a Venezia e disposto a Dio sa qual colpo disperato. La mia convivenza con quella furiosa eroina, che avea fatto parlar tanto il volgo e gli sfaccendati, aggiungeva nerbo all'accusa. Infatti una bella mattina che sorseggiava tranquillamente il caffè pensando alla maniera di prolungar piucché fosse possibile l'utilissimo servizio di sette o otto ducati che mi rimanevano, sentii un furioso scampanellare alla porta, e poi una confusione di voci che gridavano rispondevano s'incrociavano dalla finestra alla calle, e dalla calle alla finestra. Mentre porgeva l'orecchio a quel fracasso, udii un grande strepitio come d'una porta sgangherata a forza, e poi successe un secondo colpo piú forte del primo, e un gridare e un tempestare che non finiva piú. Stavamo appunto io e la Pisana per uscire ad osservare cosa succedeva, quando la nostra zingara si precipitò nella stanza col naso insanguinato, la veste tutta a brandelli, e un'enorme paletta da fuoco tra mano. Era quella che mio padre adoperava per far i profumi secondo la usanza di Costantinopoli.
- Signor padrone - gridava ella, sfiatata pel gran correre - ne ho fatto prigioniero uno che è di là chiuso in cucina colla faccia spiattita come una torta.
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