Chi ne ha ne dia; è la regola generale per tutto il prossimo; figuratevi poi tra due amanti che piú che prossimi devono esser tra loro una cosa sola! Or dunque dato che ebbimo ordine a questi negozi, si pensò a metter in grado il mio stomaco di sostener le fatiche del primo giorno d'esiglio. Era già sera, io non avea preso da ventiquattr'ore null'altro che un caffè, pure non avea piú fame che se mi fossi alzato allor allora da un banchetto di nozze. Cosa volete? Sulla mensa vi avevano a destra ed a sinistra de' gran bottiglioni di Cipro, io mi fidai di quelli, e mentre gli altri mangiavano e m'incoraggiavano a mangiare, mi diedi invece a bere per la disperazione.
Bevetti tanto che non intesi piú nulla dei gran discorsi che mi tennero dopo cena; soltanto mi parve che rimasto un momento solo colle donne l'Aglaura mi sussurrasse qualche parola all'orecchio, e che seguitasse poi a premermi il ginocchio e ad urtarmi il piede sotto la tavola quando Spiro e suo padre furono tornati. Per garbo d'ospitalità essi l'avevano collocata nel posto vicino al mio. Io non ci capiva nulla di quella manovra; mi trascinai bene o male fino al letto che mi fu assegnato e dormii tanto porcellescamente che mi sentiva russare. Ma alla mattina quando mi svegliarono fu un altro paio di maniche! Alla tempesta era succeduta la calma, allo sbalordimento il dolore. Fino allora avea prolungato ostinatamente le mie speranze, come il tisico; ma alla fine dava di cozzo nella brutta necessità, né ritrarsi né sperare valeva piú. Non potei nemmen dire che ebbi la forza di uscire dal letto, di vestire i miei nuovi arnesi alla greca, e di congedarmi dai miei ospiti.
| |
Cipro Aglaura Spiro
|