Io mi fermai a contemplare quel tetro e solenne spettacolo che meriterebbe una descrizione finita da una penna piú maestra o temeraria della mia. L'Aglaura si protese sulla repente caduta della roccia, e parve assorta per un istante in piú tetre meditazioni. Ohimè! io pensava intanto ai tranquilli orizzonti, alle verdi praterie, alle tremolanti marine di Fratta; rivedeva col pensiero il bastione di Attila e il suo vasto e maraviglioso panorama che primo m'avea incurvato la fronte dinanzi la deità ordinatrice dell'universo. Quanti fiori di mille disegni, di mille colori racchiude la natura nel suo grembo, per ispanderli poi sulla faccia multiforme dei mondi!... Mi riscossi da cotali memorie a un lungo e profondo sospiro della mia compagna: allora la vidi avventarsi in avanti e rovinar capovolta nell'abisso che le vaneggiava a' piedi. Mi scoppiò dalla gola un grido cosí straziante che impaurí quasi me stesso; lo spavento mi drizzava i capelli sul capo e mi sentiva attirare anch'io dal vorticoso delirio del vuoto. Ma raccapricciava al pensiero di volgere un'occhiata a quella profondità e fermarla forse nelle spoglie inanimate e sanguinose della misera Aglaura. In quella mi parve udire sotto di me e non molto lontano un fioco lamento. Mi chinai sul ciglio della rupe, intesi l'orecchio e raccolsi un gemito piú distinto; era dessa, non v'avea dubbio: viveva ancora. Aguzzai gli occhi a tutto potere e scorsi finalmente fra un macchione di cespugli una cosa nera che somigliava un corpo e pareva esservi rimasta appesa.
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