La frittata riuscí eccellente, e dopo di essa anche la trota si vendicò del sofferto dispregio facendosi mangiare. Le sardelle adoperarono del loro meglio per entrare anch'esse dov'era entrata la trota. Infine non rimasero sui piatti che le reste, e d'allora in poi io mi persuasi che nulla serve meglio ad aguzzar l'appetito quanto l'aver cercato di ammazzarsi un'oretta prima. L'Aglaura non ci pensava piú affatto; io pure m'avvezzava a riguardare quel brutto accidente come un sogno ed una burla, e lo stomaco lavorava con sí buona voglia che mi pareva impossibile dopo l'affannoso batticuore di pochi momenti prima. Confesso che anche ora ci veggo della magia in quel furioso appetito; quando non fosse l'Aglaura che mi stregava. Ogni sardella che inghiottiva era un brutto pensiero che volava ed un gaio e ridente che capitava. Rosicchiando la coda dell'ultima giunsi a immaginare la felicità che avrei provato in un tempo di calma di amore d'armonia goduto insieme alla Pisana su quelle piagge incantevoli.
Chi sa!
pensai trangugiando il boccone. Ed era tutto dire tanta confidenza nella buona stella dopo il temporalone di quella sera! Tanto è vero che gli estremi si toccano, come dice il proverbio, e che Bertoldo aveva ragione di sperar maggiormente il sereno durante la piova.
Quella infine fu la serata piú gioconda e piacevole che passassi coll'Aglaura durante quel viaggio; ma molto forse ci poteva la contentezza di vederci salvi da un sí gran pericolo. Accompagnandola nella sua stanza (l'osteria di Bardolino aveva fino dal secolo scorso pretensione d'albergo) non mi potei trattenere dal dirle:
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