Chiesi anco all'Aglaura se le venisse fatto di scernere il signor Emilio, ma la mi soggiunse asciutto asciutto che non lo vedeva. Ella sembrava occuparsi piucché altro della festa, e le sue grida e il suo picchiar di mani colpirono tanto i piú vicini che le fu fatto bozzolo intorno.
- Aglaura, Aglaura! - le bisbigliava io. - Ricordati che sei donna!
- Sia donna o uomo che importa? - rispose ella ad altissima voce. - Gli adoratori della libertà non hanno differenza di sesso. Sono tutti eroi.
- Bravo! brava! Ben detto! È un uomo! È una donna! Viva la Repubblica! Viva Bonaparte!... Viva la donna forte!...
Dovetti trascinarla via perché non me la portassero in trionfo; ella si sarebbe accomodata, credo, molto volentieri di questa cerimonia, e le vedeva errare negli occhi un certo fuoco che ricordava il furore d'una Pizia. A gran fatica potei condurla in un altro canto dove si raccoglieva una gran turba femminile, la piú molesta e ciarliera che avesse mai empito un mercato. Era una vera repubblica, anzi un'anarchia di cervelli leggieri e svampati; per me non conosco essere che dica tante bestialità quanto una donna politica. Giudicatene da quanto ne udii allora!
- Ehi - diceva una - non ti pare che avrebbero fatto meglio a vestirlo di rosso il nostro Direttorio?... Cosí tinti in verdone coi ricami d'argento mi sembrano i cerimonieri dell'ex-Governatore.
- Taci, là! sciocca - rispondeva l'interrogata - la severità repubblicana porta i colori oscuri.
- Ah ci chiama severità lei? - s'intromise una terza.
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